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e.mail seguita all'invito di interagire con "rischio economia"

---Messaggio originale----
Cara Paola,
ho letto attentamente il tuo articolo "rischio economia", soffermandomi in vari punti e nei vari problemi da te affrontati, ho notato che si parla sempre di manodopera lavorativa finalizzata alla conquista di un salario più o meno equo, in relazione alle ore effettive lavorate e le ore di straordinario ipotizzate. L'utopia di voler esportare le "conquiste", in merito ai diritti dei lavoratori, fino ad ora raggiunte dai paesi occidentali, mi pare irrealizzabile, ne ora ne mai; sopratutto in quanto esse sono applicabili a quelle società che abbiano raggiunto un discreto livello culturale, e che siano riuscite a sgretolare quelle "differenze" sostanziali identificate nelle classi sociali, qui in occidente quasi del tutto livellate, tranne che per le differenze di possibilità economiche degli individui, penalizzanti ancora sicuramente, ma unicamente per quanto riguarda la disponibilità di ricchezza finalizzata alla conquista dell'opulenza. Questa differenza sociale, non penalizza più di tanto, le relazioni interpersonali fra gli individui, che prescindono dal tipo di collocazione che essi occupino all'interno della società. L'unica "differenza", se di differenza si vuole parlare, risiede nel livello di cultura raggiunto da ogni singolo individuo, livello però facilmente modificabile previa applicazione e volontà dell'individuo stesso, in grado oramai di poter attingere, in maniera facile ed economica, ai vari serbatoi culturali disponibili a livello globale anche attraverso la rete, e/o attraverso pubblicazioni dai costi ridottissimi. Quindi l'ipotesi di esportare le conquiste sindacali raggiunte, in paesi dove le gerarchie militari, palesi, o mascherate, la fanno da "padrone", mi sembra una strada difficilmente percorribile. Anche nei nostri paesi, osservando attentamente, queste conquiste sindacali raggiunte, appaiono oramai inefficaci e obsolete, continuando, erroneamente, a considerarle quale unico rimedio efficace contro quest'escalation economica che sta travolgendo tutti i paesi occidentalizzati. La vecchia formula: "ore lavorative" = salario senza rischio d'impresa, non darà più la possibilità al lavoratore, di crescere economicamente con il passare del tempo. l'incongruenza che pochi uomini, uno per tutti Moratti, possano essere unici proprietari di aziende che creano ricchezza, suona stonata ed anacronistica, anche perché, questa ricchezza, trova la sua concretezza: in primo luogo attraverso i lavoratori che la rendono possibile con il loro lavoro, e in secondo luogo, sempre attraverso i lavoratori che ne diventano clienti/consumatori. Molti aerei hanno abolito la business class, proprio in questa logica della trasformazione, o io direi, lo sgretolamento irreversibile delle classi sociali. Vedo possibile, proprio in questo "fecondo" periodo, quel salto di qualità generazionale delle cosiddette "classi operaie". La business class all'interno delle aziende, piccole medie o gradi che siano, deve essere sradicata, per dare origine alla nuova formula: "ore di lavoro - rischio d'impresa" = compartecipazione agli utili, con l'acquisizione automatica in conseguenza all'assunzione, secondo millesimi di quota, della proprietà dell'azienda. La forza del potere contrattuale fino ad ora raggiunto, sta proprio nel fatto che permette al lavoratore ed ai suoi sindacati, qualora lo volessero veramente, di applicare/imponendolo facilmente questa modifica di atteggiamento creando un salto di qualità mai raggiunto, aiutandoci a superare agevolmente anche questa stagnante fase di crescita economica nella quale ora ci troviamo. Qualche resistenza iniziale sarà sicuramente inevitabile; ma siccome chi costruisce e chi consuma questa ricchezza sono proprio il popolo dei lavoratori, si riuscirebbe a divenire facilmente ad accordi convenienti con entrambe le parti.
Un giorno non molto lontano tutti i lavoratori saranno comproprietari dell'azienda nella quale lavorano, ed ognuno di loro si impegnerà concedendo la massima efficienza a tutela e alla crescita della propria parte di bene. Questo nuovo atteggiamento con il tempo andrebbe sicuramente a contaminare, via via, tutto il pianeta. Esso si potrebbe affermare come "modus vivendum", come la normalità del procedere delle società evolute; ed il lavoratore non dovrà più elemosinare un modesto compenso in cambio di una prestazione sempre più onerosa, che priva l'individuo della libertà e del suo tempo libero; in una logica perversa che aumenta sempre più le ore lavorative, a fronte di un salario che non cresce con la stessa proporzione.
Bisogna considerare la globalizzazione un vantaggio per tutti gli uomini, a patto che si inneschino immediatamente meccanismi che possano con il tempo evolversi, in maniera autonoma, che liberino l'uomo da questi atteggiamenti di ristrettezza provinciale.
I pensieri dell'uomo hanno fatto grande l'uomo, questi stessi pensieri saranno le uniche "differenze", che lo distingueranno nelle nuove classi sociali, che con il tempo saremmo in grado di smantellare anch'esse, proiettati in una convivenza pacifica finalizzata unicamente alla crescita intellettuale/culturale di ognuno di noi.

Giosuè Marongiu
Maracalagonis 28 luglio 2009
www.bauform.it
www.giosuemarongiu.it

commento di paola zorzi
a: giosuè marongiu

appena possibile risponderò più dettagliatamente al tuo intervento che non mi trova d'accordo, logicamente i soli paramatri di riferimento non possono certo limitarsi alla retribuzione e all'orario di lavoro ... legato alla produzione c'è infatti tutto un contesto che interagisce psicologicamente, qualitativamente e anche a livello di efficienza e risposta a nuove esigenze. detto questo però non prendere minimamente in considerazione le esigenze e i diritti fondamentali dei lavoratori, che non ce la vengano a contare, è sfruttamento bello e buono! e sarebbe da idealisti non esaminare questi argomenti anche perché il tempo è oggettivamente quello che è: 24 ore di cui una parte necessaria al riposo.
sono consapevole di scoperte che creano accelerazioni di secoli in pochi istanti dal punto di vista della conoscenza. ma quando tu costringi le persone a 12-16 ore di lavoro disumano per una paga miserabile o ancor peggio a condizioni non degne del genere umano, oggettivamente tu hai annullato tutte quelle potenzialità di accelerazione temporale e ad un tratto il tempo è come tornato al medioevo ... giusto per restare in ambito di relatività... a meno che non ci sia un progetto che coinvolga le persone e gli dia un orizzonte (ma questo sarebbe un altro discorso). sai bene di persone che lavorano con orari insostenibili, lavori ripetitivi se non dannosi alla salute o pericolosi dove non c'è orizzonte né alcun tipo di controllo e possibilità decisionale da parte dei dipendenti.
io continuo a pensare che sia possibile un mondo più giusto e un benessere esteso a tutti attraverso consumi realizzati con energia e materiali rinnovabili a basso o a zero impatto ecologico.
la conoscenza, la ricerca, una socialità acquisita con il tempo, la storia, la cultura ci dovrebbero aiutare
forse per ora è un po' utopistico ma non è impossibile.
mentre il discorso sulla civiltà ci interroga tutti, occidente compreso.

paola zorzi - lug 2009

rileggendo il tuo intervento dopo molto tempo mi accorgo che, come accennato all'inizio della mia precedente risposta, era davvero opportuno un commento più dettagliato. in effetti quando tu scrivi "un giorno non molto lontano tutti i lavoratori saranno comproprietari dell'azienda nella quale lavorano..." prospetti un'eventualità che non può che essere auspicabile. io la interpreto però come l'idea di una società in cui sia abolita la rigida divisione di lavoro che costringe le persone nei ruoli di ideatori da un lato ed esecutori dall'altro; di possessori da un lato e meri dipendenti dall'altro. nulla è più auspicabile di una società che nel suo insieme partecipi attivamente e collettivamente alle scelte necessarie alla sua esistenza e miglioramento.
questo molto probabilmente aprirebbe a potenzialità impensabili in grado di superare le attuali forme di miseria, ristrettezza e sottomissione a cui ancora troppe persone sono costrette. presuppone una forma di governo e di relazioni sociali di tipo consiliare. il che non significa fare un referendum per ogni inezia o trasformare la democrazia in demagogia ma partecipare concretamente, attivamente e responsabilmente a tutto ciò che si sta facendo.
per quanto riguarda la globalizzazione ho sempre pensato che questa sia iniziata già da molto tempo con la scoperta dell'america. già allora l'importazione di oro dalle americhe aveva determinato problemi e un episodio inflattivo che aveva investito l'intera europa. in realtà la globalizzazione attraverso lo scambio e la ricollocazione del surplus presente in un luogo là dove invece c'è una carenza, di per sé non dovrebbe comportare che risvolti positivi. il fatto che queste opportunità non siano colte a pieno, anche secondo me, non è dovuto alla globalizzazione in sé ma alle modalità, al tipo di regime politico ed economico attraverso cui si realizza.
p.z. marzo 2014